25 gennaio 2017

Il calzolaio delle parole salvate (1983-2013)

1983
L'amore
L'amore si è arenato
sulla rupe di un perduto prato;
balenante occasione nelle pagine
di una tempesta.
L'amore si è arenato
in cima a un crocevia di stagnola,
nel rappreso inchiostro nuziale.
L'amore si è arenato
nella sacra liturgia delle tue amnesie – anmesi
nelle gocce di acqua lustrale
nella bianca calcina sgretolata.
Aritmetica precisione
nel calcolo dei dadi,
aritmetica imprecisione
nel vano risultato delle addizioni – moltiplicazioni.

1984
Barche di pescatori
Nel cielo
plumbeo
la
casa
incendiata
spalanca
le
imposte
del
dolore

1985
Meditazione pomeridiana
Nelle macerie della memoria
la speranza – muraglia di parole
è un cane richiamato dal cacciatore,
è lo sguardo di una fiera ammaestrata
dietro la zanzariera di rossi caseggiati e uggiosi casellanti.
Spiove sul fango di palude
sul legno residuo di un incendio,
il filo d'Arianna nel labirinto
raddensa le consonanti umorali.

1986
Settembre
Nei pomeriggi tiepidi di settembre
seduto ai tavolini dei caffè all'aperto
ti rivedo appisolato sulla poltrona,
nella piccola anticamera che precedeva
la cucina.
La felicità privata ti smarriva
nel lembo di qualche redivivo
tempo, e poi tornavano il
quaderno del primo giorno di scuola, i sussidiari senza
copertina.
Seduto ai tavolini del caffè all'aperto
rincorro un predellino il cappellino
démodé e penso a te come a un
profumo che rimane addosso,
a un raggio di sole sulle
barche a pancia in giù.
Nei pomeriggi tiepidi di settembre
seduto ai tavolini dei caffè all'aperto
mi ritorna in mente il sorriso
di un amico nel tintinnio di
un bicchiere, il viale di ciclisti
sciame acceso di colori.
Mi ritorna in mente quando mi
rifugiavo lungo le rotaie sazie
di ruggine, passi brevi inchiodati
sul lungomare.
Lieto il sole cade sopra i tetti – è quasi primavera.

1987
Interno
Dove sei andata
in che strade cammini
con chi sciogli le tue vele?
Ti sei persa nel vento secco d'autunno
in un labirinto di specchi
ai bordi di questo secolo breve.
Tu non ricordi quei pomeriggi
distesi nell'erba alta
fra la terra rossa di un cortile inondato di luce,
nell'apparente fissità del mare della sera.
Tu non ricordi stretto ai tuoi seni
perquisivo le tasche slabbrate
del tuo alfabeto universale,
frugavo nel disegno sublime
della bocca bella e dolorosa,
raro prezioso presagio di salvezza.
Ai ritorno dei pescherecci
il saliscendi di spighe di parole
nelle crepe la muffa dell'oblio.

1988
Lezione di disegno
Ho spalancato le finestre al sole
radente del primo pomeriggio,
distesa di grano maturo a vista d'occhio –
pace materna – tepore – tappeti erbosi.
In quei giorni grappoli di uva bionda
pioggia di luce sulla sponda del
fiume a mezzogiorno.
In quei giorni mi addormentavo
sulle ginocchia di mio nonno
draghi cavalli verdi la neve.
Mi ricordo voci di madri sguaiate
zuffe di bambini – arcobaleni riflessi
sull'asfalto bagnato.
Mi ricordo sere d'estate sotto
i portici a chiacchierare di ciclismo,
amori sciagurati e al buio
della mia stanza fabbricavo
le tue mani fra le mie.
Ho spalancato le finestre al sole
radente del primo pomeriggio,
distesa di grano maturo a vista
d'occhio – pace materna – tepore – epistolario privato.

1989
Lettera ai posteri
Alla fine dei miei giorni
nessuno si deve sentire
in colpa per la mia condizione.
Alla fine dei miei giorni
dormirò come un bambino svogliato
sotto una fredda pietra senza vita.
Alla fine dei miei giorni
mi mancherà la pace di un roseto
il tè bollente nel samovar
una mattina di pioggia sul mare.
Alla fine dei miei giorni
la faccia mattiniera di un
uomo lasciato a metà disperderà
la sabbia della clessidra.
Alla fine dei miei giorni
mi mancherà l'acqua benefica
dei tuoi occhi il corpo caldo
di neve e catrame.
Alla fine dei miei giorni
chi piangerà deve avere misura
chi soffrirà deve avere pudore,
il dolore è una scrittura privata.

1990
Cineforum
Nel mio quaderno d'appunti
ho trascritto delle unghie leccate di viola
labbra imponenti di carne e ruggine.
Nel mio quaderno d'appunti
ho scritto della tua attesa
sulla soglia di un'estate scivolata oltre le dune,
e come torni a bruciapelo
nelle sere di maggio profumate di menta,
nel silenzio aspro di un cimitero d'automobili.
Nell'arsenale prezioso della memoria
non svanirà la rete di sguardi impigliati
fra sottili polsi di pizzo e tessuti tinti d'indaco,
tra passeggiate pomeridiane lungo il litorale assolato
e lunghi muri gialli di ginestre fiorite.

1991
Levante
La situazione impone il cambiamento
la situazione impone una reazione
l'effigie del tiranno brucia.
Guardie bigotte arrestavano anche il sole
il regime del terrore e della crudeltà
affittò treni di sentinelle per dormire
tranquillo, l'ultimo carnefice morì
il giorno di Natale.
Dove i vasti cieli della giustizia?
Dove i vividi colori della democrazia?
La grande idea scende al capolinea
la grande idea chiede ospitalità
in un castello senza porte e senza finestre.
Quella era una contraffazione,
un'ombra, ferro e piombo venduto
a peso d'oro massiccio.
Erano cavalli di cartapesta,
partigiani vecchi da ospizio,
citazioni colte per i talk-shows
della domenica pomeriggio, clown,
ballerine, topi ed equilibristi nel caos figlio della notte.
Dopo un colpo di dadi
si sbriciolò l'impero
delle promesse disattese ci attendono tempi di ipotesi opposte
per scontare il peccato originale
al tribunale delle mele marce.

1992
Controvento
La prima volta che ti ho incontrata
seminavo trappole da bracconiere
sulle linee ventose dell'istinto.
Il tuo profilo rivelò ricordi d'infanzia
lettere disegni divelti dalla sorgente al mare.
Discreta e silenziosa visiti i paesaggi astratti
del mio sillabario babilonese,
piccole tavolette d'argilla incise sera dopo sera.
Radiosa e feriale fra veglia e sonno
cogli il grumo essenziale della vita
e con affetto dipani il filo delle
mie sbornie di malinconia.
Onde inarcate nel silenzio domenicale
lieto tumulto di una comitiva di villeggianti,
e tu inanelli il ghiaccio caldo la neve bollente
della tua arguzia bruciante – cauterio.

1993
Presagio
In punta di chitarra inventi
scale appoggiate al vuoto,
sull'orlo ripido delle palpebre
fai largo a un uomo alla deriva;
beffa del destino poeta stralunato
fegato devastato.
Che compito ingrato ti sei scelta
ma prima o poi inciamperai nella mia disobbedienza,
nella poca voglia di vivere, in un'ossuta inettitudine.
Dopo l'ultimo saluto
planerò giù sulla tua schiena,
e poi mi concederò un riposo millenario.

1994
Domenica di settembre
Ti guardavo dormire
e tu stringevi un ombrello chiuso di dubbi,
ultima svogliata tenerezza quando le dita del sole
sostano sulla tua finestra.
Ti guardavo respirare
e tu Venere ansiosa e loquace
non sai che puoi essere estremo porto di salvezza,
celeste pacificazione.

1995
India
Salirò le scale di limpide sere
sospeso nel turchese
impero ombroso di uno scriba.
Conosco la distanza
dal vertice di un sorriso
all'abisso univoco di una
analfabeta modernità.
Risorgo dalle acque sconsacrate
da un letto incendiato e infecondo,
risorgo nei labili confini di uno
stato interiore –
da un abbacinante grembo materno.

1996
Breve partitura per teoremi e conflitti
Passeggio in
spiagge di lavatrici
volo a luci
spente sopra campi minati
nel lampo del
buio di miniera.
Capogiro
inquieto e tumultuoso
non so
trattenere e ordinare
la parola.
Reclamo con
urgenza
frammenti di
assenze e presenze.
Occhi distratti
fiammanti
automobili
seno turgido
profilattici e
carte di credito.
Occhi
noncuranti
non possono
vedere
presenze che
reclamano
attenzione,
non possono
percepire
riflessi
riportati sul
muro di stinti
palazzi,
cangianti tetti
variopinti.
Le parole non
bastano
fisse e rigide
– nel suono
sempre uguale
non agguantano
il distante
non raccolgono
il movimento e
la stasi.
Per cogliere
l'ambiguità
del reale
bisogna dividere
l'essenziale dal
transitorio,
raschiare con
le mani la lastra
di vetro
antiproiettile che separa
la farina dalla
crusca.
Sullo
schermo-beffa
ospizio
catodico emerge
una cultura da
fast-food,
il pressappochismo è diventato
una scienza
esatta.
Mi sento un
quadro incompiuto
una lepre
inafferrabile
topo urbano
chiuso in gabbia.
Siamo
forestieri salariati
turisti
assopiti – coglioni stagionali.
Non a tutti è
permesso
apprendere la
distinzione
atto di sintesi
itinerario
cerebrale
non vedo
non parlo
non sento
schivo come un
trappista
mi riconsegno
alla solitudine
da cui
provengo.

1997
Ordine embrionale
Le mani
penetrano nell'ordine embrionale
trovano
infinite croci rampicanti
tracce di
polvere da sparo
satrapi
smargiassi.
Saldo il debito
ancestrale
e sotto queste
pergole destinate
alla puja
sparecchio avanzi
di cene gelate.
Un fedele
guardacaccia contempla
boschi
partigiani – crepuscoli crivellati
da macchie
d'insonnia.
Sbarco alla
foce del torrente e trovo riparo
nell'assolata
spianata percorsa da mandrie
di cavalli
bradi.
Anomalo
anacoreta
fra le corde di
un trapezio preso a nolo,
dolente come
una donna calva
traccio a mano
libera obliqui
capelli di
dolore.

1998
Caffè letterario
Disteso sul letto sgangherato
ripensa alla moglie naufraga
d'un mare senza sponde rammenta quando nella luce limpida
della domenica mattina – annusava freschi
fazzoletti ricamati, fiori di lavanda
nei cassetti cigolanti.
Il cameriere del caffè letterario
estrae il veliero dalla bottiglia,
scolla francobolli da cartoline invase;
tenue venticello scompiglia radi capelli
fra pettini di tartaruga d'una casa
umida e scale odorose di fritto.
Il cameriere del caffè letterario
sbuccia giorni di bicchieri scintillanti
bottiglie tavolini sigarette turche.
Nel rumore di fondo di stoviglie
le paturnie di un pittore di petali
appassiti, lo sguardo catatonico di
un musicista che insegue arpeggi di
gelido vento – melodie sefardite;
uggiose damigiane di fanfaluche
di gazzettieri e narratori.
In fondo al locale seni occhi bocca
tracce di una bellezza sfiorita,
gambe accavallate con infinita grazia.
Chi si rammenterà tra quella folla
incandescente del tuo spento volto
cielo pesto, della tua nitida semplicità.
Mi domando se resterà privata memoria
di un confessore che non dispensava
né ostie né atti di dolore.
Tu porgevi svelto e cerimonioso
bevande sfreddate e riviste straniere
e nelle tazzine sbrecciate di porcellana
mescevi piccoli e preziosi chicchi liquefatti.
Era quello il tuo orgoglio
figlio laureato cum laude
capolavoro applaudito e celebrato
assolo graffio impronta sulla terra.
Nero sparuto corteo
sotto la pioggia novembrina
né la mano di un ubriaco
né un mazzo di fiori.

1999
Luce e ombra
Imputridito
in una macchia
di muffa
valico
la
cruna
di
un ago
per
dischiudere
il malumore
d'una finestra
in affitto

2000
Corollario
Mi guida un cavallo cieco
passeggero dell'effimero consueto
destinato al mare ondulato di
polvere creta vino spezie.
La lingua bollita di un bue
non fa poesia.
Sabbia umida fra i denti d'oro
di un campo nomade
fiammeggiante letizia di un corvo
nero lucente poco addomesticato.
Negli angoli degli occhi
zolla di terra rivoltata e dissodata,
sul bordo della piscina lombi balneari
di statue di carne o grasso raffermo
di birre pizze nella luce estiva
di un villaggio vacanze poco dedito
all'antropofagia.
Nelle vite precedenti mi sono arrampicato
fra le fronde del sapiente e pacifico
ulivo e ho rispedito al mittente le
mele bacate di un ostile verminaio.
Nelle vite precedenti sono stato una pietra
delle chiudende, una danza circolare, un
cristallo molato di vento cieli animali
alberi.

2001
Capidanni
Che bella che sei quando
ti sciogli i capelli sulle spalle,
splendenti auree chiome che lampeggiano
sugli occhi ospitali, smagati.
Che altissima quiete del bosco
primigenio emani, diletta aristocratica
soriana, altera nobildonna.
Che incantevole felice estranietà
corpo pensiero ideologia, e sulla
tua pietra nera di lavagna
l'anelito ascensionale della
cerimonia della natura, magnitudo
della nudità di carne fiorisce
e fruttifica – die pro die.

2002
Micromacrocosmo
Ecco solea sedere ai bordi ombrosi
di una radura erbosa o su manzanu
dei giorni festivi splendeva eletta diletta consorte nel serto che cinge
il suo capo, mirto lucente dei rami fioriti.
Ecco o bella mia suona suona
canta canta dottrina e sentimento –
poesia in poesia, combustibile e comburente.
Ecco univoca mesopotamica ragazza mia,
la tua grazia naturale è il sale
della terra, è luce su luce, chenabura
sappadu duminiga.
Ecco ragazza mia donna incantevole
selva ubertosa, fresco grembo di rosa
vermiglia – innaffia il semenzaio delle
tue mattane, coltiva il soave silenzio
che precede l'ora della cena.

2003
Sirio
Ti accompagnerò in sordina
lungo brughiere profumate di muschio
nelle penombre selenitiche dell'orto
botanico; ti accompagnerò dove tenue
riluce un glicine a spalliera e
un giaciglio d'erbe invita il cuore
a una pace smisurata.
Lo sai verrò a cercarti
e poi ti spedirò una sciarpa
di baci salati, lo sai verrò
a cercarti pure se non sono
più a bordo dei tuoi occhi lacustri.

2004
Festa di compleanno
Il mare fuori stagione
raggruma le lasche maglie
del fil di ferro bifido
spalmato sul pane di un
garbato ridere sommesso.
Il mare fuori stagione
si affaccia nel precipizio
disappetente di un'allegra
profezia e allaga la tovaglia
d'altare di una chiesetta
di campagna.
Il mare fuori stagione
m'accora e mi consola
e mi fa trovare nelle carte
geografiche il volto filiale
della mia ridente solitudine.
Il mare fuori stagione
è un golfo mistico
del non più e del non
ancora, è lo stomaco chiuso
passato al fuoco lento di uno
stupore-refezione.

2005
L'officina di nonno Gavino
Nell'officina di nonno Gavino
ho trovato l'utensile che faceva
al mio caso e con un lavoro
di buona lena ho piallato
il naso – sino a riportare
in piano tutto il volto.
Più tardi con un foglio di
carta vetrata ho carteggiato
quanto basta gli occhi – sfrega sfrego
sino a non lasciare niente –
appena due fessure bianche che non
ricevono né contengono alcuna
idea del e sul mondo.

2006
Il cortile dei ciliegi
Nella casa disabitata il ragno
intesse la sua tela, dal muro
sgorgano raggi di sole smussati
d'argento brunito;
cadono giù sulle retrovie del cuore.
Le bombe lacrimogene esplodono
sugli occhi di prati fradici di guazza,
le bombe lacrimogene esplodono nel
gerbido del fumo passivo delle tue
intermittenze: nella notte di San Giovanni
i falò svegliano la terra.
Il tuo occhio vorace-rapace
rivela vaste zone d'ombra —
uno stupore inerte e presago,
strofina la polvere franta
nel sordo rimbombo delle salve
d'artiglieria, il candore della prima
neve, salsedine di replezione.

2007
La pioggia di Vertumno
Umbratile processione di montagna
breviari squadernati di preti gessati-sbarbati,
nel pomeriggio del dì di festa un
vertice cromatico di temperanza.
Oasi di raccoglimento.
Sui nevosi pendii un sole d'amore
arde nel cuore un raggio mistico
indora i rami più alti.
La pioggia di Vertumno
ci proteggerà dalle note
doppie parentali, fa compagnia
ai poeti che indagano la fotogenia
del peccato.
La scrittura il computo
il grido la campana
per aspera ad astra.

2008
Azzurre acque pasquali
In questo magro giorno di vigilia
mi slavo nei riflessi di un pontile deserto,
cerco chi ero e dove andrò ad incominciare.
In questo venerdì dal pelo sbiadito
cancello lavagne di calcoli che non
tornano e mi pare di sapere che
occorrono troppe vite per farne una.
In equilibrio sulla corda del cuore
la lenta crudeltà di una malattia
pettina sguardi che paiono preannunciare
destini — penso che continueranno a
splendere i giorni quando non ci sarò
più, penso al tuo albero di arancio
carico di frutti.
Trafitto da ripide malinconie
osservo la goccia che fa traboccare
il vaso, l'inezia di un granello
di sabbia che fa pendere la bilancia.
Sotto nubi d'idrogeno
mandami un saluto dagli zigomi
del matto del paese — e ti prego riposati
che sei mio perdono — perdonati ti prego
sera di serenità — serenata d'ombre
d'ulivi e caligine.

2009
Maggese
Poetare è una miccia bagnata.
l'atto dello scrivere è accreditare,
rivendicare.
Esplicita il lavorio paziente
del mattone dopo mattone
della pietra su pietra.
Poetare è uno sciame sismico
bacterio indeiscente.
L'atto della scrittura
è il sale greco della
pietanza del commensale insaziabile —
polvere di manganese
sulla lingua di certe
donne con lo sguardo lungo.

2010
I° allegato
Allora con la mente ingombra
tirò col torchio a mano fonè
senza coloranti conservanti —
senza glutammato.
Rimorde la ristampa anastatica
dei sorrisi fioriti sulle labbra
retrodatate.

2011
II° allegato
Esplode la fioritura di una distesa
di luci polverizzate nel buio —
la vita si popola
e mi arricchisco
di memoria —
foco vitale
nella regione diveniente.

2012
Fragmenta 100
Poterci ritrovare come allora
è il segno aritmico del mio
ragionare.
La carezza di una mano
che lambisce il volto
è tutto quello che rimane
di una vita condivisa.
È così breve la nostra esistenza,
che anche la gioia diviene una
cruna da oltrepassare col filo
rosso delle sartine di Pavese,
o l'intreccio macramé di una
Penelope di mezza età.

2013
Fragmenta 112
Continuo a coltivare parole,
allevare idee, mediare tra costi
e ricavi.
Continuo a scrivere dalle pozzanghere
dell'idroscalo di Ostia, guardaroba
di correzioni post-stampa nel barlume
del non detto.
Colleziono quadri ricavati
dagli occhi chiusi alla vigilia
di una nuova bufera: Ferragosto.
Resisto al nebbione che ingolfa
aurore dal doppiofondo, mi sciolgo
lentamente come la zolletta nel
latteo orizzonte; a prora un'ancora
scheggiata di dislessie chiude la
rima palpebrale.
Cogito a fuoco lento,
il mio pensare è a fisarmonica:
si restringe e si allunga a
seconda delle necessità.
La messa in pagina marca visita
se le vele panciute reclamano
il consuntivo, oggi posso solo spannocchiare
la minutaglia, i trucioli di scarto, continuum
che accudisce e sorveglia.

Nessun commento:

Posta un commento