23 maggio 2016

Il tempo dello sguardo (2012)

Nei miei video è inutile cercare una storia: essi sono per lo più espressioni di stati d'animo, ricostruzioni soggettive di cose pensate più che vissute, dove tutto è interiorizzato, reso in forma intimista, onirica, (quello che Pasolini chiama cinema di poesia e Moravia momento lirico–soggettivo che sostituisce quello epico–oggettivo del cinema).

Non mi preoccupo dei fatti e degli avvenimenti, mi soffermo sulle cose inanimate e sulle reazioni, sui ricordi, sulle fantasie che queste cose provocano nel personaggio: evoco gli oggetti, li descrivo minutamente affidandomi ai lunghi e particolari silenzi di cui è costellata la narrazione, servendomi molto spesso dell'inespresso e del non finito. Il tempo reale, lo stesso tempo cinematografico concepito tradizionalmente come quello cronologico della successione dei fatti, vengono sostituiti da questo tempo mentale (che Robbe Grillet quello delle nostre passioni e quindi quello della nostra vita); un tempo che registra disordinatamente le riflessioni, i pensieri, i desideri, i sogni, i ricordi, le stupefazioni, i vuoti, le ossessioni, le zone oscure della nostra mente. E questo tempo è coniugato esclusivamente al presente: passato, presente e futuro si amalgamano in un tutto unico fino al punto di non consentire allo spettatore una separazione netta di questi tempi diversi.

Solo un'immagine che parte da un'accurata elaborazione concettuale e pittorica riceve dignità e pregnanza figurativa e culturale. Il mio lavoro è una riflessione ossessiva, martellante, disperata e tragica sulla vita e la morte, sulla natura stessa del fare cinema, e più in generale, sull'attività umana del rappresentare la vita, senza potersi affrancare dalle sue leggi, senza poterla in alcun modo dominare.

Nei miei lavori le immagini tendono all'immobilità della pittura e della fotografia; il movimento interviene lievemente, come una variazione nella musica minimalista. Vista l'aspirazione ad avvicinarmi alla pittura, sono portato a trascurare la progressione e la pressione narrativa, ad appiattire la curva del racconto. Ogni mio video mette in scena l'inevitabile scarto fra visione e conoscenza, che funziona come laboratorio di ipotesi filmiche, quasi un blocknotes, un quaderno d'appunti, sul quale tracciare schizzi successivi di un progetto figurativo che si arricchisce e si sviluppa.

Il  mio cinema è un cavallo di luce.

Fabrizio Derosas

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