22 marzo 2017

Ecologia iconografica - Daniel Rizzo

Secondo Horst Bredekamp, le immagini, per un verso, sono un nostro prodotto; per un altro, possiedono una vita propria. Sono un artefatto umano, ma detengono una loro autonomia che le allontana da noi e le eleva rispetto alle cose inanimate: non sono destinate a cambiare né a mutare. Si pongono sempre sulla soglia tra staticità e dinamismo, le contempliamo, e intanto ci contemplano. È quel che accade quando ci troviamo al cospetto di tanti capolavori del passato: fissiamo negli occhi i protagonisti di quei quadri, mentre ci sentiamo spiati da essi. Un sortilegio: ne siamo tutti inconsapevoli prede.

Anche le immagini che produce Daniel Rizzo, non sono solo oggetti, ma posseggono lo statuto di soggetti attivi. Custodiscono una segreta volontà, una misteriosa performatività.
Nel momento in cui vengono toccate dal nostro sguardo, passano da uno stato di latenza a una liberazione di energheia. Il suo progetto offre una sorta di navigazione in mare aperto, che mira a elaborare una stimolante ecologia iconografica.
La società primitiva aveva le sue maschere, la società borghese i suoi specchi, noi abbiamo le nostre immagini. Crediamo di costringere il mondo con la tecnica. Ma attraverso la tecnica è il mondo che si impone a noi, e l'effetto sorpresa di questo capovolgimento è davvero considerevole.
Daniel Rizzo coltiva uno sguardo personale e anticonformista, con lampi di irriverenza.
La sua "analisi" si concentra in modo particolare su creazioni che si prestano ancora a una fruizione rallentata, meditata, approfondita.
Crea una geografia che mette in crisi categorie e strategie interpretative consolidate, costringendoci a inventarne altre. Piccolo labirinto senza confini, che esige una mobilitazione totale. Costellazioni di immagini liquide. Che è ancora in attesa di un'ermeneutica capace di decifrare i mobili paesaggi della postmedialità.

Nessun commento:

Posta un commento