In un folgorante racconto di Jorge Luis Borges, si narra che in una casa d'imminente demolizione, nascosto in un angolo della cantina c'è un aleph, cioè un punto che contiene tutti i punti.
Sdraiato su una tela di sacco, guardando il diciannovesimo scalino, il narratore vede il microcosmo di alchimisti e cabalisti, il multum in parvo, l'infinito racchiuso in una minuscola sfera.
La prima lettera dell'alfabeto della lingua sacra (l'ebraico), per la cabala quella lettera rappresenta l'en soph, l'illimitata e pura divinita... Ha la figura di un uomo che indica il cielo e la terra, per significare che il mondo inferiore è specchio e mappa del superiore... Per la Mengenlehre (la teoria degli insiemi) è il simbolo dei numeri transfiniti, nei quali il tutto non è maggiore di alcuno dei componenti.
Le grandi idee della metafisica occidentale, perduto il loro dominio sul sapere, si sono rifugiate esuli nella letteratura e nell'arte, che tutto contiene e in cui tutto si riflette.
Il mondo occidentale ha praticato nei secoli, una scissione radicale tra parole e immagini, lasciando l'esercizio delle prime ai letterati e quello delle seconde agli artisti.
Non così si sono comportate invece le culture dell'estremo oriente, che grazie alla pratica degli ideogrammi hanno tenuto legate tra loro parole e immagini.
Oggi anche l'occidente appare largamente pentito, circa il suo antico vizio dissociativo, e questo per effetto del passaggio dalla galassia Gutemberg alla dimensione elettronica-digitale.
Il confine, segno immaginario o reale che delimita uno spazio (geografico, verbale, visivo) possiede l'attrattiva singolare che sta nella sua negazione, nel desiderio di ancestrale tracotanza di oltrepassare il limen: varcare la soglia e raggiungere uno spazio che forse si vorrebbe infinito.
La serie proposta dalla pittrice Cristina Papanikas, contenuta nella raccolta poetica "Per amore, solo per amore", varca i confini tra parola e immagine, dipinto e poesia, narrazione e visione.
Spinta da un entusiasmo ancora sincero, ha attinto a un vasto retroterra iconografico costituito dalla storia dell'arte, dalla letteratura e dal cinema.
Cristina Papanikas esprime attraverso le sue tavole, l'idea della coincidenza tra l'invenzione fantastica e la regola geometrica, tra il rigore, la padronanza compositiva e la fluidità scorrevole del segno, che appare spesso come un'onda marina o un brulichio di gocce sgranate.
Le opere della Papanikas possiedono un rimando evocativo ai colori, alle luci e alle forme della terra che, nonostante la mente sia consapevole di non aver di fronte la rappresentazione di un paesaggio lo cerca, lo crea e infine riesce a vederlo, ripresentando ancora una volta il mistero delle macchie sul muro, di ricordo leonardesco.
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