07 settembre 2009

Trattamento di “Via Paolo Fabbri 43” (1997)

1) FRAMMENTO
Nella camera ardente ci sono poca luce e troppe persone. Un bambino, Martino, in abito da chierichetto, spia attento l'espressione di chi deve chinarsi sul morto per l'ultimo saluto.

2) FRAMMENTO
In una antica pasticceria dall'aria viennese due ombre si muovono lente.
Una bambina insolitamente bella rallegra il lavoro di un pasticcere rude e massiccio recitando filastrocche. Le rime si inseguono noiose fino a quando, con uno scatto, l'uomo si affretta verso l'ingresso ad abbassare la saracinesca. Evita così di assistere al passaggio di un corteo funebre che nel frattempo è giunto davanti alle vetrine spente.
La piccola ancora non interrompe il suo inopportuno cicaleggio.
Anzi – Margherita, sempre più incuriosita, si avvicina alla fessura rimasta sotto la serranda.
Si protende in avanti e il suo sguardo coglie il movimento lento e solenne del corteo: Martino è l'unico a notarla e a voltarsi.
I due continuano a fissarsi per lunghi attimi, mentre i loro volti si caricano di semplice stupore.

3) FRAMMENTO
Dieci anni dopo.
Martino e Margherita – ormai legati da un robusto sentimento che prese origine da quel fortuito incontro di sguardi, stanno seduti gomito a gomito dietro una vecchia scrivania.
Martino scrive sotto dettatura il loro giuramento ispirato al mito di Filemone e Bauci.

Venerdì.
Dopo l'ultimo frammento un lento carrello verticale ci trasferisce in una assolata estate degli anni Novanta. L'aria afosa è attraversata dal rumore dell'esodo estivo, mancano due giorni a Ferragosto.
In un modesto ma dignitoso condominio in via Paolo Fabbri 43 vivono, da diversi anni, Martino e Margherita.
Quella mattina, mentre rade a fondo l'ispida barba di Martino, Margherita racconta al marito un sogno denso di simboli che rivelano l'amletico umore dell'anziana donna.
Poco più tardi i due coniugi sfidano la calura estiva per fare la solita spesa di latte e verdure. Rallentano quando transitano dinanzi ad una piccola oreficeria, perché Martino spera di far riparare la sua preziosa cipolla.
Mentre leggono gli orari di apertura e chiusura, aguzzano lo sguardo e così notano che il gioielliere agita nervosamente una cornice d'argento di fronte a due rapinatori. Ad un tratto il commerciante è colpito dai malviventi che si dileguano nei vicoletti del centro storico.
Da un notiziario locale apprendono che il ferito è morto poco dopo il ricovero.

Sabato.
Seguiamo i due vecchi nella caserma dei carabinieri, chiamati a deporre come testimoni oculari del delitto del giorno prima.
Vediamo strade deserte, volti e corpi di anziani soli alla finestra o mentre si affannano nei pochi negozi aperti, androni e scale dimesse, la stazione, i giardini pubblici.
Le immagini raccolgono con cura e discrezione una geografia di gesti e luoghi della solitudine ordinaria e quotidiana.
Sempre più spesso Martino e Margherita si sentono turbati dall'angoscia sottile della solitudine. Sondano quel sentimento così ambivalente e contraddittorio in cui si sentono scivolare. A loro non accada più di scavarsi a fondo cercando quel silenzio, e neanche di sognare altro oltre a ciò che già conoscono.
Sentono chiaramente che lo spazio della solitudine è ormai solo distanza.
Fuga che ti fa rientrare in un inutile egoismo.

Domenica.
La città è ormai vuota, abbandonata. Sono le prime ore di luce, non ancora abbagliante. Margherita si gode al balcone la breve frescura del mattino.
Improvvisamente, proprio là sotto si ferma sgommando un'auto rumorosamente accessoriata di stereo. Ne scende un uomo. La sua accompagnatrice vistosa è visibilmente agitata, alzando il volume, comincia a dimenare le spalle e la testa in movimenti sinuosi e sensuali.
Inaspettatamente i due coniugi si allacciano nel movimento composto ed ingenuo di un ballo antiquato. Anche la cubista ne è sorpresa e la sua esasperata sensualità si spegne in tenerezza.
Martino trascorre la mattina ad archiviare vecchie cianfrusaglie cartacee, poi le contrassegna con foglietti adesivi, su cui riporta un commento. Margherita ascolta distrattamente la radio mentre pulisce con meticolosità gli angoli più nascosti della casa. Si distrae un istante solo quando sente la voce del Papa e si affretta a cambiare frequenza.
L'aria torna pesante ed afosa, come morta, ed il pranzo domenicale non è né piacevole né rilassante. Margherita, sentendosi completamente ignorata, si sfoga rievocando la ferita mai rimarginata di un tradimento.
Martino raccoglie dalla sedia più vicina un foglio ingiallito dal tempo, si tratta del giuramento che firmarono nel retrobottega della pasticceria.
I due si fissano in silenzio, una scintilla di complicità li unisce.
Tra i due coniugi pare avvenga una reazione chimica, non c'è spazio per tentennamenti o remore.
Mettono in pratica il giuramento.

Diversi giorni più tardi qualcuno si accorge della loro assenza.
La vistosa cubista, nonostante il puzzo insopportabile, entra a vederli.
La putrefazione dei due corpi è già avanzata per la calura – ma si può notare ancora l'espressione serena con cui si sono spenti Martino e Margherita.
Apparentemente, neppure la morte li aveva divisi.

Epilogo.
Da un palazzo molto simile a quello in cui abitavano Martino e Margherita, esce la cubista che qualche giorno prima rimase tanto colpita dalla morte dei nostri protagonisti. Indossa un paio di jeans e una maglietta sportiva, ha un aspetto molto dimesso, totalmente diverso rispetto a quello delle apparizioni precedenti. Stringe un annaffiatoio pieno d'acqua, scende i pochi scalini che precedono il cortile condominiale.
Quando di spalle si allontana scopriamo che le sue cure riguardano due germogli ancora freschi, isolati e curiosamente splendenti in mezzo al resto della miserevole vegetazione.
In sottofondo una voce declama le significative parole che concludono la leggenda di Filemone e Bauci.

Nessun commento:

Posta un commento