04 settembre 2009

Excursus. Lettera aperta agli anni Sessanta (2000)

INVENTARIO INIZIALE
La corsa di Livio Berruti al traguardo dei 200 metri olimpici, i cortei studenteschi feroci e trepidanti, Patty Pravo che infiamma il Piper, frigoriferi e lavatrici comprati a rate, Vietnam libero, il giovane Holden, Catherine Spaak de “La voglia matta”, i paparazzi, Che Guevara, la 600, Mary Quant nella Kings Road, Jury Gagarin, la modella Twiggy, pantaloni a vita bassa e a zampa di elefante, Valle Giulia, Giovanni XXIII indice il Concilio, i juke box del Festivalbar, John Kennedy, l'espansione mammaria di Anita Ekberg, l'invasione di Praga, Marilyn, Blown in the wind, gli urlatori, Bikila, lo statuto dei lavoratori, la scena de “Il sorpasso” in cui Jean-Louis Trintignant si affaccia al balcone, e giù c'è Vittorio Gassman che lo invita a scendere, Nenni, Segni, Togliatti, Via Veneto, Nikita Krusciov, La ciociara, Sulla strada e Kerouac, Rocco e i suoi fratelli, il casco d'oro di Caterina Caselli, Easy rider, Satisfaction, Malcolm X, Lolita.

EXCURSUS
Lettera aperta agli anni sessanta
Gli anni sessanta morirono di notte, la notte in cui un venticinquenne invasato irruppe alle spalle di John Lennon che stava rincasando nella sua casa di New York e gli scaricò addosso una rivoltella a cinque colpi che aveva pagato 169 dollari. Era l'8 dicembre del 1980. Lennon, testa pensante dei Beatles, aveva da poco compiuto quarant'anni.
Quei quattro giovani di Liverpool, che affermavano: “Siamo più popolari di Gesù Cristo”, hanno fatto sognare, hanno scatenato follie collettive, scandalizzato, ma anche diffuso la gioia di vivere e di stare insieme.
Un critico ha scritto: “Essi sembravano così pieni di futuro e in realtà erano imbevuti di nostalgia”. La regina nel 1965 li nomina baronetti. Quando decidono di lasciarsi e di smettere hanno venduto 50 milioni di dischi e ci sono da dividere 62 miliardi di una volta.
Ho attraversato gli anni '60 fino ad oggi e mi sono sentito come un oppresso che si batte contro il tiranno. Che tempi erano quelli che tempi così ho attraversato tutti gli anni sessanta e che musica christo in quegli anni e che politica e che manganelli negli anni sessanta. Era la prima volta che gli studenti facevano domande. Di colpo tutto pare diverso la pace sembra possibile vicina ma vedo molti che erano amici un tempo camminare da vecchi.
Le credenze degli anni '60 sono diventate il cinismo degli anni '80. Io avevo l'impressione di vivere e seguendo le orme di quelle parole entravo in altri sentieri partivo partivo camminavo.
Quei capelli biondi lisci, raccolti talvolta in una treccia birichina, che pendono sulle spalle di una fanciulla francese le cui gambe svettano verso il cielo: i capelli di Brigitte Bardot, la fanciulla che sconvolse il mondo.
Quel reggiseno a balconcino, dannatissimo da sganciare, quelle due coppe di merletto nero che proteggevano ma in realtà minacciavano, che avvaloravano più di quanto occultassero. Quei maglioni a collo alto, aderenti, all'uscita dei licei, a raccontare il romanzo dei seni. Quelle prime minigonne, e manca il fiato a raccontarne la comparsa sfrontata e solenne, magari qualcuna delle nostre furibonde assemblee che spaccavano in sessantaquattro ogni capello, e a quel punto le voci si arrestavano, gli sguardi maschili leggermente si intorbidivano. Era la prima volta nella storia dell'uomo e del suo immaginario, che le donne così apertamente esibissero il trionfo della loro femminilità, la prima volta che così aperta e bruciante era la loro sfida a noi ventenni malcerti di tutto, ma soprattutto di quella cosa lì.
Erano gli anni in cui ogni cosa che fosse al mondo sussultava e stava cambiando forma. Anche qui – da noi – si respirava una ventata di novità.
Negli anni sessanta ogni giorno appariva nuovo di zecca, e che tutto vi si potesse accendere, diventare grande e più rapido. Noi avevamo appena smesso di indossare i pantaloni rivoltati dei nostri padri. Malcerti di noi stessi, felici della nostra giovinezza, vedevamo dappertutto velieri nemici da arrembare.
Durante la passeggiata una delle tappe a cui non si poteva rinunciare era la Gelateria Toscana al Corso dove ora c'è la profumeria Cucciari.
Volevamo non so bene cosa, ad aggiustare il nostro stare al mondo, ma che fosse tanto e il più presto possibile; e nell'averlo così ardentemente voluto è l'onore dei nostri vent'anni.
Tutte le sere mezzo chilometro compiuto a passo di lumaca; Piazza Regina Margherita, Corso Umberto, lo Chalet, Isola Bianca. Come si accendevano le luci, cominciavano le vasche, fatte di ammiccamenti, brevi risate. Erano due correnti in senso inverso, che si rincorrevano. A furia di camminare, pareva che la gente consumasse sempre più la parte inferiore del corpo. Laggiù – in fondo – c'era il buio della campagna. Così lo struscio avveniva al caldo, trepido, appassionato, tra quelle due zone di buio.
Lo Chalet era il ritrovo preferito delle coppiette. Si ballava o si ascoltava musica dal vivo. Suonavano i complessi come i Blu Star di Paoluccio Masala o quello di Menelik. Spesso i versi erano scritti da Astro Mari. Era d'uopo la presentazione dell'indimenticabile Oreste Chiesa.
D'estate, per tormentare le coppie che facevano l'amore dietro le barche, ci si spogliava in fretta, quindi ci si presentava nudi, chiedendo all'uomo dietro la barca: “Scusi, che ora è?”.
In quel tempo – per partecipare alla cricca dei vissuti – si stava al Bar Deiana. Il bar – fatto sull'esempio dei milanesi d'allora, era frequentato dagli artisti, dalla gioventù inquieta, dagli sportivi. Era il luogo di ritrovo dei vitelloni, d'inverno (d'estate, tutto si spostava da Cosimino o da Hermes). Importante: a Olbia esiste una divisione netta fra le stagioni. E' un cambiamento sostanziale, non solo meteorologico, come in altre città, sono due Olbie diverse.
Uno dei picchiatelli più noti degli anni sessanta era “Sa foca”. Era una specie di ornamento poco gradito dei locali cittadini. Lo chiamavano in quel modo bizzarro perchè aveva i piedi alle “10 e 10”. L'unica sua proprietà era una moto scalcinatissima (da lui chiamata macchina), moto a tre ruote, munita di un baule
misteriosissimo. Mai nessuno ha saputo che cosa ci fosse dentro. D'inverno rimetteva in piedi i birilli del biliardo per qualche sigaretta. D'estate – alle sei del pomeriggio indossava un frac trovato chissà dove e poi si dirigeva verso Lido del Sole – località à la page durante quel formidabile decennio. Pochissimi possedevano automobili, la bicicletta era la nostra utilitaria.
Si ricorda ancora un'avvenente Miss Olbia che arrivò alla selezione con il “Leoncino” che trasportava il pesce fresco. Vi lascio immaginare l'impatto olfattivo.
Nel 1961 vengono acquistati i primi terreni dei Monti di Mola. Naturalmente gli olbiesi vedono la Costa Smeralda come una notevole possibilità di lavoro, benessere. In breve tempo diventa la favola della ricchezza, del lusso, dello sfarzo orientale. Giravamo attorno come topi per darci un'occhiata – carichi di ammirazione per le Bugatti, le Mercedes Benz, dalle targhe affascinanti e indecifrabili. Gli autisti con gambali scintillanti, fumavano passeggiando su e giù. Al guinzaglio tenevano cagnetti piccolissimi e feroci. All'altezza dei marciapiedi, grandi grate guardano nelle immense cucine. Laggiù, in fondo, i cuochi seminudi e sudati, non alzavano nemmeno la testa, lo sfricicchio delle padelle, i ruggiti di certe fiammate che si alzavano fino al soffitto. Le sere d'estate la Costa Smeralda diventava Istanbul, Bagdad, Hollywood. Sulle sue terrazze, protette da cortine di fittissime piante, si svolgevano feste per pochi eletti. Si intravvedevano nude schiene di donne che ci sembravano d'oro, allacciate da braccia maschili in smoking bianco, un venticello profumato ci portava a tratti musichette sincopate, languide da svenire. Soltanto d'inverno, con l'umidità, il buio, la nebbia, riuscivamo a prendere possesso delle vaste terrazze fradice d'acqua. Ma era come arrivare a un accampamento quando tutti sono andati via da un pezzo e il fuoco è spento. Si sentiva nel buio l'urlo del mare, il vento ci soffiava in faccia il pulviscolo gelato delle suole. Il Cala di Volpe — chiuso come una piramide, le sue cupole e i pinnacoli inghiottiti nella foschia, era per noi ancora più estraneo, proibito, irraggiungibile.

ABEBE, L'ABISSINO SCALZO
Una delle imprese più clamorose delle Olimpiadi di Roma del 1960 fu senz'altro costituita dalla vittoria nella maratona dell'etiope Abebe Bikila, che a piedi nudi, percorse i 42 chilometri della gara ad una velocità quale mai era stata raggiunta da nessun maratoneta. Di Abebe Bikila sappiamo solo che si allenava correndo per giorni interi sul natio altopiano, senza curarsi troppo di norme dietetiche o di tabelle orarie. Abeba aveva solo letto da qualche parte che la prima maratona, quella corsa ad Atene nell'Olimpiade del 1896, era stata vinta da un pastore greco, un tale Spiridione Luis, il quale aveva mangiato solo qualche frutto nei giorni precedenti la corsa e aveva trascorso la notte prima dicendo preghiere. Dicono che lo stesso sistema abbia usato Abebe, regalando il primo alloro olimpico alla sua patria.
Il 21 luglio 1969 gli astronauti americani Neil Armstrong e Edwin Aldrin, a bordo del modulo lunare “Lem” trasportato dall'astronave Apollo 11, sbarcarono sulla Luna. “Un piccolo passo per un uomo, un salto da gigante per il genere umano”. Mentre pronunciava queste parole l'astronauta americano Neil Armstrong allunga il piede sinistro e dopo un attimo di indecisione stampa la prima orma umana sul suolo selenico, nel Mare della Tranquillità. Così, la notte del 20-21 luglio 1969 si compie la più grande avventura di tutta la storia umana; il sogno di generazioni di poeti e di scienziati.
Sotto gli sguardi di centinaia di milioni di uomini che, attraverso gli schermi televisivi, assistono, dal pianeta Terra, al grande momento muti, emozionati, meravigliati, commossi, consci che per l'umanità è iniziata in quel momento una nuova era; che da quel momento noi, abitatori intelligenti di questo granello di polvere che si chiama Terra, possiamo cominciare l'esplorazione diretta del cosmo, liberi dal laccio che sembrava insuperabile, la gravitazione terrestre.

INVENTARIO FINALE
Lolita, Malcolm X, Satisfaction, il casco d'oro di Caterina Caselli, Easy rider, Rocco e i suoi fratelli, Sulla strada e Kerouac, La ciociara, Nikita Krusciov, Via Veneto, Nenni, Segni, Togliatti, la scena de “Il sorpasso” in cui Jean-Louis Trintignant si affaccia al balcone, e giù c'è Vittorio Gassman che lo invita a scendere, lo statuto dei lavoratori, Bikila, gli urlatori, Blown in the wind, Marilyn, l'invasione di Praga, l'espansione mammaria di Anita Ekberg, John Kennedy, i juke box del Festivalbar, Giovanni XXIII indice il Concilio, Valle Giulia, pantaloni a vita bassa e a zampa di elefante, la modella Twiggy, Jury Gagarin, Mary Quant nella Kings Road, la 600, Che Guevara, i paparazzi, Catherine Spaak de “La voglia matta”, il giovane Holden, Vietnam libero, frigoriferi e lavatrici comprati a rate, Patty Pravo che infiamma il Piper, i cortei studenteschi feroci e trepidanti, la corsa di Livio Berruti al traguardo dei 200 metri olimpici.

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